Masini Daniele 3285906674
Nicola Micieli: Antologica Forlì -1996 Antologica Cesena - 1996



Cesena 1996 MostraAntologica
L' umano riconquistato, intorno allo snodo critico dell'88. La pienezza e la complessità dell'umano. E le sue contraddizioni o se vogliamo la dialettica degli opposti complementari, in cui e I impulsivo rigenerarsi della vita dalla sua negazione. Fervori e abbandoni. precipitazioni e risalite. o ascensioni alle luminose regioni eteree dalle subterrestri tenebrose e grevi. Torpori e trasalimenti. Turgori, accensioni: accezioni dell'umano riabilitato all'esercizio della vita, sotto specie di recitanti figure, nelle mentite spoglie dell'arte. Nei cui recinti ancora si consuma il rito antico della pittura. generatrice dei simulacri di cose e creature, che rendono visibili emozioni fantasticherie idee. Nel teatro pittorico di Daniele Masini, intorno all'88. L'umano riconquista le luci della ribalta. Spoglia d'ogni ornamento, per non distrarre gli sguardi dalla liturgia dell'apparizione, la scena s'anima e quasi trabocca della sua presenza. Distese d'acqua e ripidi cieli, le scene: pareti caliginose o infuocate. terreni brulli e dune. Nel deserto della natura, il silenzio dilata la durata del tempo, distorce la percezione dell'hic et nunc. A quale stagione appartiene l'allegoria del sapere silenzioso (1990) che rammemora, nel suo posare raccolto sul fianco, un atteggiamento mediano tra la Notte e l'Aurora della Tomba di Giuliano De' Medici? E quando si leverà, deposto il rigido sudano, dal suo giaciglio di pietra?
Altra scena, la cittadella dell'immaginario metafisico: spazio solare architetturato, a cielo aperto, accademia peripatetica, forse, o museo abitato da statue non ancora pienamente sgravate del sovrappiù di materia che le opprime; e in versione lunare, ancora spazio edificato ipogeo, che si dirama in intuibili itinerari labirintici disseminati di sirene e di inganni ottici, e può capitare di perdersi nel vano tentativo di discernere la verità e la finzione.
Nella topografia masiniana, che già includeva cripte e loculi per l' ossame reliquariale, edicole e lunotti da appenderci le icone in gloria di santi di eroi, di navigatori, sono ambientazioni di nuovo conio, questi interni, vestiboli ove può irrompere, da una finestra che non par proprio spalancata
sull'azzurrità del cielo, un Angelo ribelle (1994) annunziatore dell'umana sua solitudine nell'estraneità del creato. Infine, le scene mirate all'allucinazione, gli spazi per il confino e la contenzione. Stanze come prigioni: celle dalle pareti stringenti, fisicamente serrate sull'ospite, inesorabili camicie di forza nell'inibirgli, con i movimenti, sino l'ipotesi più remota di libertà. A voler ulteriormente ridurre questo spazio di contenzione, non vi sarebbe che una cella "anatomica", costruita su misura, al modo delle armature che Masini dipingeva in difesa della solitudine tragica del suo Demiurgo mutageno, nell'epopea dei cavalieri erranti. Stanze in forma di vasche non propriamente lustrali, forse inidonee a molli abluzioni, anzi angusti spazi, e claustrofobici: scene minimaliste, meno che placentari, seppur vagamente evocatrici della sacca amniotica; modesti bacini, acquari domestici per apnee da contorsionisti, se fastelli anatomici più che corpi si riconoscono ivi impegnati in defatiganti esercizi.
Eccoli enumerati, dunque, i luoghi deputati all'azione! Sembrava importante farne il catalogo e descriverli, ponendo attenzione alla tipologia in relazione alle modalità del loro uso poetico, per il ruolo che svolgono nell' economia espressiva delle immagini. Ricorderò che nel teatro pittorico masiniano, quale si è delineato dall' 80 al presente, lo spazio scenico è in rapporto inverso e complementare alla figura, qui di rilevante consistenza plastica. L'impressione non è d' una scatola scenica, un contenitore, ma di un organismo che partecipa all'azione facendosi angusto e direi incalzante per secondare il corpo in espansione, contraendosi ed estendendosi elasticamente ai suoi vigorosi movimenti. Non si pensi, dunque, a un trucchetto percettivo parato alla celebrazione retorica dell'uomo. Al contrario, nella stringente e quasi sadica riduzione dello spazio agibile, viene proposta una situazione conflittuale, un antagonismo che simboleggia in sé, come tensione, un presupposto esistenziale. Del resto, Masini ha sempre regolarmente apparecchiato, di periodo in periodo e ogni volta adottando la soluzione stilistica pertinente, situazioni visive che rappresentano stati di tensione, e dunque evocano la fatica del vivere. A scorrere anche velocemente le immagini nel catalogo dell' antologica di Forlì, non sfuggiranno, ad esempio, la generale temperatura espressionista della forma plastica; la distorsione ottica del disegno e degli impalcati strutturali, mediata al manierismo; la proliferazione barocca degli elementi visuali nella continuità organica dello spazio.
La focalizzazione dello sguardo sull'umano, identificato nella concretezza fisica del luogo corporale, prima che per le implicazioni antropologiche ed esistenziali, è un dato nuovo nella ricerca pittorica di Masini, un'acquisizione maturata nell'88 ma la cui gestazione coincide, in pratica, con le tappe evolutive della pittura. Intendo dire che dell'uomo l'artista forlivese ha sempre parlato, nel complesso di un'opera pittorica dalla storia ormai ultraventennale. Solo che nel passato Io aveva fatto per interposti simulacri, ossia attraverso figure sostitutive, in chiave allegorica. Mai l'uomo era stato chiamato sulla scena come persona portatrice di urgenze e di valori da comunicare in presenza corporale, mediante il codice dei nervi, della pelle, dei muscoli, degli arti che rispondono fulmineamente alle sollecitazioni del mondo esterno.
Sino allo snodo critico intorno all'88, Masini aveva parlato dell'uomo allusivamente, narrando una sorta di apologo drammatico intorno alla pittura come dimensione parallela e metafora del mondo reale, popolata da personaggi leggendari, eroi solitari, Demiurghi destinati a rigenerare l'uomo dalle ceneri della storia. La ricerca pittorica e la narrazione cominciano con le Cripte (intorno al '74), ossia dal luogo dell'estrema riduzione dell'essere alla pura fisicità dell'ossame dilavato, e si concludono con le stele antropomorfe che, sullo scorcio degli anni Ottanta, nascono dall'incontro e dalla sintesi dell'istinto e della ragione, attraverso la bestia.
Tra il '74 e l'88 si colloca l'epopea demiurgica, la vicenda fatidica dell'ibrida creatura, del mostro che ripercorre, e registra nel proprio soma, la filogenesi della specie, e che per approdare all'aspetto - e alla complessa condizione esistenziale - dell' uomo. dovrà compiere attraverso la storia e il mito, un viaggio iniziatico di morte e resurrezione. Non a caso la navicella dell' allegoria masiniana parte dal porto chiuso ipogeo ove approdano i defunti, e giunge a un'aperta laguna da dove emerge, quasi Venere nascente dalle acque, la stele antropomorfa dalla quale, per graduale spoliazione del materiale inerte. sorgerà appunto l'uomo.
Con la riconquista dell'umano si verifica un visibile cambiamento di temperatura espressiva e stilistico rispetto al passato, per quanto sussistano numerosi elementi di continuità linguistica che attestano la coerenza profonda della ricerca masiniana. Dai grandi impianti allegorici, che implicano una pittura di racconto fondata sull'iperbole visiva e la proliferazione formale, si passa a una partitura generalmente più semplificata e a una narrazione allusiva, fondata essenzialmente sulla metafora, e dunque non facilmente traducibile in contenuti di comune comprensione. Certo, la pittura potrebbe vivere anche senza didascalie, essendo primariamente significativi i valori formali, che pertengono allo statuto dell'arte, al suo "specifico come usa dire. e sono autoreferenziali. Questo sembrano attestare i titoli dei dipinti. che alludono quasi sempre a situazioni relative alla problematica dell'arte. e non consentono facili digressioni letterarie. La figura umana è, sostanzialmente, simbolo della pittura. La quale. a sua volta, è specchio dell'anima dell'artista, suo luogo identificatorio. C'è una transitività, anzi un'interazione nel rapporto tra l'artista e l'opera sua. E un gioco molto serio di rispecchiamenti che consente al vissuto dell'artista di entrare in circolo nella concezione e nella gestazione dell'opera. senza pericolo di divagazione retorica. Assunto in modo indiretto, il vissuto alimenta di umori densi e fervidi, intensi e persino drammatici l'immagine, incrementandone il potenziale espressivo e il margine di ambiguità, e dunque la ricchezza semantica in quanto momento di forti suscitazioni emozionali ed evocative.
Masini ha compreso che in arte la comunicazione è tanto più efficace quanto più fondata sull' accesso intuitivo, ossia sull'attivazione empatetica dei meccanismi analogici, proiettivi e associativi che consentono al riguardante di ripercorrere, nell' autonomia dell'elaborazione personale, il processo creativo dell'artista, e di sentirsene in qualche modo partecipe. Per questa ragione l'immagine appare concepita come un organismo ricco quanto si vuole di interne articolazioni, di nodi, di frizioni, ma leggibile alla prima in termini di rapporto elementare figura-fondo, materia-colore, forma-spazio.
Con una sintassi così semplificata giocoforza retrocedono le componenti teoriche, stilistiche e altamente culturali che inducevano molti critici a assegnare il mondo di Masini a un' ambito di pittura genericamente colta, se non proprio anacronista o citazionista. Né si può negare tale valenza, nel senso che non mancavano - dichiarati o sottesi - riferimenti alla tradizione figurativa europea, specialmente l'emblematica medievale, le estenuazioni manieriste, l'iperbole barocca, Il fuoco che alimentava l'ispirazione scaturiva tuttavia, in toto, dalla passione esistenziale. La quale animava con accenti di verità anche le intemperanze, le dismisure di una personalità che era - ed è - sostanzialmente romantica.
Dopo l'88 permangono, ma come in filigrana, le variegate impronte di una cultura visiva che spazia, con grande libertà e consapevolezza, dall'antico al moderno al contemporaneo. Se ne colgono i segni rappresentativi non tanto o non solo in quei momenti iconografici - per esempio il ciclo degli "angeli" liberamente ispirati a Melozzo da Forlì - o in qualche passaggio stilistico le cui fonti appaiono riconoscibili, quanto piuttosto nell'attenzione alla qualità formale della partitura.
Invero, Masini si conferma pittore colto perché conserva, da uomo del nostro tempo, una concezione ancora antica del mestiere, inteso certo nel senso delle abilità esecutive e delle conoscenze tecniche, ma solo in quanto governate dall'intelligenza e dalla sensibilità, che debbono sempre essere presenti a se medesime, garanti dell'intima corrispondenza interiore del dato formale. Tale vigilanza interessa l'intero processo creativo, dal primo fissarsi dell'idea all'elaborazione progettuale, dalla scelta dei materiali all'esecuzione, dall'impostazione dell'impianto compositivo alla cura del dettaglio, dalla concertazione cromatica per gradazione tonale alla registrazione conclusiva delle luci. Per completare il quadro delle osservanze, sarebbe importante parlare diffusamente del disegno, scaturigine dell'immaginario neogotico ed espressionista di Masini, e della sua peculiare ambivalenza analitico - sintetica. Al disegno occorrere bbe però riservare un'approfondita trattazione, improponibile in questo contesto, per renderne conto prima di tutto in quanto linguaggio che vanta autonome acquisizioni grafiche (e criptografiche), specie sul versante di una 'scrittura" cognitiva che svela il senso arcano della realtà, che vorrei dire pitagorico più che leonardiano, radiografandone analiticamente la struttura. Quindi per esemplificarne la funzione progettuale e operativa nella molteplice applicazione alla pittura, in modi diversificati nel seguito dei periodi, talora come griglia di delimitazione delle forme, talaltra come elemento di fluidificazione grafica delle tessiture materiche, al fine di imprimere dinamismo alla partitura.
Ecco, in questo senso indiretto di disposizione alla civiltà del figurare, nel caso di Masini si può dunque ancora oggi credibilmente parlare di pittura colta, senza tradire lo spirito nuovo che circola nelle sue opere, pur non estranee al gusto della rivisitazione che chiamerei di clima visivo. Sono facilmente riconoscibili la metafisica, il cubismo e il già citato manierismo di Melozzo, situazioni quanto mai estranee alle pur intriganti pratiche del rispecchiamento museale e del metalinguaggio, e che sembrano fungere quasi da ideali stazioni nel percorso che l'artista compie per condurre la navicella della pittura al proprio destino.
Nell'ideale traversata ancora una volta Masini incrocia la vita, le turbolenze della vita, e non tenta manovre diversive: anzi le affronta con una disposizione nuova a desumere comunque, nel periglioso sprofondare e risorgere del legno all'oscillazione e al risucchio delle onde, il margine possibile di poesia.Seguiamolo, dunque, nel suo procedere di navigatore alla conquista dell' identità da mettere in gioco nell'agone della vita, questo prototipo umano derivato, geneticamente. dall' incrocio del proteiforme Demiurgo, vero "fossile" vivente, con la figura solida di trapezoide ove si incarna il principio formatore e ordinatore della ragione. luogo della geometria e del numero, tuttavia non privo di una connotazione magica, e vorrei dire apotropaica, connessa alla sua struttura cristallina. Che provenga dalle viscere della terra o dagli spazi siderei, quel cristallo possiede, difatti, la virtù del talismano, ossia di infondere l'intuitivo inesprimibile soffio vitale alla materia formata. Il che la rende, in definitiva, un simbolo dell'arte ove si rinnova l'atto primigenio della creazione, nella quale veramente si riconoscono la presenza e l'unicità dell'umano.
Come statue, difatti, in un clima vagamente surreale, e d'una chiarità inconsueta nel tenebroso Masini, emergono dalle acque a mo' di stele, i parti di quell'incrocio fecondo. Hanno aspetto totemico e imponenza di giganti. La figura è dapprima sommariamente delineata: la si indovina. più che vederla, inglobata nel blocco che si articola in masse plastiche dall'assetto ora tendenzialmente biomorfico ora misto a conformazioni prismatiche nelle quali giù scorgi la mano dell'artefice formatore. Simulando. nel suo dipingere, una tecnica scultorea, Masini riporta gradatamente alla luce corpi dalle anatomie poderose. che sembrano faticosamente destarsi da un sonno di secoli, come prigioni michelangioleschi nei loro sepolcri marmorei.
Si respira un clima solare in queste natività acquoree di creature rupestri nelle quali si rinnova la liturgia mediterranea delle grandi bagnanti di Picasso, cui si pensa per la solennità statuaria delle forme. Il cubismo implicito nella scomposizione della struttura plastica. diverrà più evidente nel seguito del percorso. e avrà una chiara applicazione analitica in alcune composizioni di natura morta e figura a larga scansione di piani incastrati e ribaltati, costituendo uno dei filoni principali in cui si svilupperà la ricerca masiniana. L' orientamento immediato delle imponenti figure sarà peraltro metafisico, nel senso dell'evocazione di un mito mediterraneo coltivato, credo, come prospettiva di una ritrovata integrità dell'umano nella celebrazione del corpo liberato. Ma se decisamente metafisiche sono alcune composizioni ove lo spazio, in interno e in esterno, appare edificato secondo una pIanimetria che ricorda i luoghi silenti delle Piazze d'italia o le Stanze abitate da muse androgine e manichini, altrove e più spesso Masini enuclea situazioni visive emotivamente coinvolgenti e di una certa implicanza esistenziale, pur se prive, in pratica, di acchiti narrativi, in quanto giocate sul disagio psicologico connesso alla percezione fisica dello spazio come emanazione dell'intricata personalità che va manifestando l'uomo nuovo.
Il quale avverte attivo e pungente il sentimento del tempo. Dico il presente ansioso e sfuggente, ma ancor più il tempo della durata, che echeggia molteplice e sommesso dalle scaturigini dei secoli, sedimento sonoro e archetipo della coscienza. Le figure emancipate dai loro involucri lapidei, quando inequivocabile si dichiara la loro appartenenza umana, come statue ancora si ergono nella severità del paesaggio, o posano raccolte su un piedestallo che le isola dal circostante, come stiliti (Antropos, 1990) in auscultazione di quel mareggiare sonoro nel loro cuore, e nell'esteso universo creato di cui sono il cuore. E quando sia frantumata, la figura, in un ventaglio di membra che presuppongono compresenze, sempre comunque si riconduce a unità di enunciazione drammatica dell'essere, la scena. Intendo dire che da un nucleo possono germinare una o più figure tra loro complementari perché agitate da una comune urgenza, e da un solo desiderio di esprimerla, quell'urgenza, con il linguaggio primitivo del corpo riconquistato.
In un ciclo di grandi dipinti, tra il '91 e il '94, Masini tenta, e con esiti a mio avviso straordinari, di impostare un'azione drammatica in cui l'acuto avvertimento del disagio esistenziale si dispiega in una situazione spaziale, in un luogo scenico che ne amplifica la portata, direi quasi mirando a esiti di coralità. Penso, per citare dipinti qui pubblicati, a Estrema solitudine e Venerazione della follia (1991), a La stanza (1993) e, soprattutto, a Angelo ribelle, Apparizione, Morte dell 'angelo, La pelle dell 'anima, Chrònos, le cinque opere eseguite nel '94 per la mostra dedicata a Melozzo da Forlì e che potremmo chiamare l'epopea dell'angelo", ovvero il corrispettivo angelico del Demiurgo che dieci anni prima appariva parato da demoniaco cavaliere errante. Parlo di "azione drammatica", per queste opere, e mi pare evidente che intendo riferirmi all'attesa di un evento, alla vigilia di un accadimento annunciato. O alla sospensione stupefatta che segue il consumarsi fulmineo dell'evento, l'apparizione dell'angelo annunciante, il compiersi del presagio.
Sotto il profilo visivo e del linguaggio Masini attua, in questi impianti di grande respiro, una sovrapposizione di modelli stilistici. Desume le architetture degli ambienti dalla topografia metafisica, nella quale introduce la nota personale di una planimetria contratta e incombente e di una solidità plastica e volumetrica delle strutture che richiama il monumentalismo di Sironi. Per quanto ampia e agibile, la scena è insomma un luogo chiuso che tende a comprimere gli attori, onde esaltarne la potenza tragica. Sottopone le figure a un'ulteriore ibridazione, perfezionando alla lezione di Bacon il suo modello antropico in cui già si erano depositati e incrociati elementi morfologici manieristi e picassiani. Dalla coraggiosa ibridazione scaturisce una figura composita quanto il precedente Demiurgo, il quale traspare qua e là in un qualche dettaglio fisiognomico, ma con ben diversa struttura e consistenza plastica del corpo. Focalizza, infine, e commenta l'azione potenziale con una strategia della luce non più atomizzata in fuochi fatui spettacolari, ma "portata" con intenzionale funzione costruttiva dell'impianto, sicché diviene parte integrante dell'azione drammatica. Nel ciclo degli angeli, anzi, l'interlocuzione della luce e degli spazi interni edificati diviene ancor più stretta e producente sul piano teatrale, instaurandosi un gioco dialettico tra l'ordinata tarsia dei pavimenti, delle pareti, delle porte che risultano nettamente delineate, con la figura dell'angelo che appare nuovamente risolta con una forma plastica proliferante e come piegata su se stessa, quasi per ritornare alla condizione del nucleo prenatale. La materia, peraltro, si affina ulteriormente, sottoposta a un lavorio di impasto inusitato che la rende morbida e flessuosa nella Morte dell 'angelo, il dipinto in cui più esplicito è il dramma della solitudine di questa creatura che è, in un'unica apparenza corporale, la testimonianza delle nostre cadute e lo strumento della redenzione.
Dopo il '94 Masini ha seguitato il suo dialogo con lo spazio rovesciando la visione ampia delle opere precedenti e riducendo, come si è visto, il teatro dell'azione alla minima estensione di una vasca di immersione. Qui l'interno e l'esterno sono il pieno e il vuoto del contenitore ove il corpo immerso si dibatte nello sforzo di sottrarsi all'asfissia, e si produce in contorsionismi complicati e bizzarri, per le curiose e stranianti "figure" che ne derivano, talora evocanti il bestiario fantastico dei grilli medievali, tal altra i reperti delle dissezioni conservati sotto formalina nei gabinetti anatomici.
Passando dalle stanze alle vasche, Masini rinnova quell'alternanza di arsi e di tesi di cui parlavo nel testo al catalogo dell'antologica forlivese. Verificare anche nelle opere recenti il gioco dell'espansione e della contrazione, significa riconoscere una corrispondenza non effimera, ma istitutiva del linguaggio, che depone per l'organicità e la coerenza di un mondo pittorico singolare per la ricchezza delle invenzioni formali, ma ancor più autentico per la sincerità dell'ispirazione e l'intensità della partecipazione emozionale e intellettiva dell'artista.
A conclusione di questo mio itinerario, vorrei tuttavia ribadire che con il proprio mondo pittorico l'autore stabilisce un'identità di pelle e di mente che investe la totalità della persona e si esprime, sul piano più squisitamente estetico, nell'esaltazione della forma (materia, colore, segno, figura, fondo, struttura) sino all'estenuazione, quasi fosse un corpo vibrante pervaso di sensualità, luogo di un Eros che cerca e realizza, al suo compimento, l'altro da sé: Thanatos tenebroso.
Nicola Micieli




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